L’EREDE
Alta è la notte. Il borgo solitario
pare un abbandonato
triste paese, ove di morte il soffio
distruttore qual turbine è passato.
pare un abbandonato
triste paese, ove di morte il soffio
distruttore qual turbine è passato.
Anche la Reggia è immersa nel silenzio
e il raggio de la luna
s’insinua misterioso entro la tacita
stanza ove dorme la regina bruna.
e il raggio de la luna
s’insinua misterioso entro la tacita
stanza ove dorme la regina bruna.
Dorme il marmocchio fra i merletti candidi
de la culla regale.
Pare abitato da vaganti spiriti
il turrito castello feudale.
de la culla regale.
Pare abitato da vaganti spiriti
il turrito castello feudale.
Nel grande letto tutto trine seriche
giace l’augusta sposa;
del suo respir quasi si sente il ritmo,
mentr'ella bianca e immobile riposa.
giace l’augusta sposa;
del suo respir quasi si sente il ritmo,
mentr'ella bianca e immobile riposa.
Dormon le damigelle, i messi dormono,
tutto d’intorno tace:
solo l’insonne re, pensoso e pallido,
non può trovare un attimo di pace.
tutto d’intorno tace:
solo l’insonne re, pensoso e pallido,
non può trovare un attimo di pace.
Nel suo cuor dilaniato un nembo si agita
di strani sentimenti.
Quanta tristezza è in quella faccia d’èbete,
in quei gravi e mesti occhi sonnolenti!
di strani sentimenti.
Quanta tristezza è in quella faccia d’èbete,
in quei gravi e mesti occhi sonnolenti!
Come uno spettro egli si aggira pallido
ne la stanza dorata;
poi va presso la culla, e or mira il pargolo
or la bella consorte addormentata.
ne la stanza dorata;
poi va presso la culla, e or mira il pargolo
or la bella consorte addormentata.
Si siede poi, perplesso, accanto al tálamo
e chiama la regina,
i serici capelli accarezzandole,
baciandole la bocca porporina.
e chiama la regina,
i serici capelli accarezzandole,
baciandole la bocca porporina.
La dormente si scote e come un brivido
le scorre ne le vene.
Egli. – Vedi, son io – le dice – dèstati
tu allevia del mio cuor le atroci pene.
le scorre ne le vene.
Egli. – Vedi, son io – le dice – dèstati
tu allevia del mio cuor le atroci pene.
“Io non posso dormir. Non posson chiudersi
questi miei poveri occhi.
Un’angoscia fatal m’invade l’anima,
si piegan vacillanti i miei ginocchi.
questi miei poveri occhi.
Un’angoscia fatal m’invade l’anima,
si piegan vacillanti i miei ginocchi.
“Ho paura, amor mio. Troppi son gli odi,
troppi i rancòri, o buona,
che a me dintorno senza posa riddano,
che circondan la mia greve corona.
troppi i rancòri, o buona,
che a me dintorno senza posa riddano,
che circondan la mia greve corona.
“Tutto questo clamor di omaggi ipocriti,
mi rende inetto e vile.
Di Verre no, non mi lusinga il plauso,
se vedo Bruto alto levar lo stile.
mi rende inetto e vile.
Di Verre no, non mi lusinga il plauso,
se vedo Bruto alto levar lo stile.
“Bruto mi fissa minaccioso. Lùccica
il suo ferro cruento.
È quella tersa acuta lama gelida
che m’empie il cuor d’ambascia e di sgomento"
il suo ferro cruento.
È quella tersa acuta lama gelida
che m’empie il cuor d’ambascia e di sgomento"
La dormente ora è desta. Ora del piccolo
nato s’ode il vagito.
– No, non temère – ella, con supplichevole
voce ammonisce il pavido marito.
nato s’ode il vagito.
– No, non temère – ella, con supplichevole
voce ammonisce il pavido marito.
Ma mentre in un amplesso i due si stringono
di afrodisiaco amore,
da la strada deserta ecco che il fremite
giunge di tutto un popolo in rumore.
di afrodisiaco amore,
da la strada deserta ecco che il fremite
giunge di tutto un popolo in rumore.
Come una foglia la regina attonita
trema, e balbetta: – O Sire,
Sire non mi lasciar: son tanto giovine,
almeno al fianco tuo fammi morire!
trema, e balbetta: – O Sire,
Sire non mi lasciar: son tanto giovine,
almeno al fianco tuo fammi morire!
Ma il re, l’imbelle re, vinto dal pànico,
– Fuggiam– le grida presto.
Ecco, i violenti già la Reggia invadono
L’ultimo giorno di mia vita è questo. –
– Fuggiam– le grida presto.
Ecco, i violenti già la Reggia invadono
L’ultimo giorno di mia vita è questo. –
Geme la regal donna e ne la candida
culla, placidamente,
dorme supino il bimbo inconsapevole,
per cui schiamazza il popolo furente.
culla, placidamente,
dorme supino il bimbo inconsapevole,
per cui schiamazza il popolo furente.
– Vogliam pane e lavoro, i nostri laceri
figli muion di fame.
Noi non vogliam la carità del dèspota,
la pietà non vogliam noi de l’infame.
figli muion di fame.
Noi non vogliam la carità del dèspota,
la pietà non vogliam noi de l’infame.
“Ne le nostre stamberghe umide e squallide
Morte impera sovrana;
di pellagra moriam, moriam d’inedia,
e la mitraglia, se insorgiam, ci sbrana….
Morte impera sovrana;
di pellagra moriam, moriam d’inedia,
e la mitraglia, se insorgiam, ci sbrana….
“Imprecando a la patria, andiamo, nomadi
pellegrini, pel mondo;
di nostalgia moriamo e di miseria,
mentre banchetta il re lieto e giocondo.
pellegrini, pel mondo;
di nostalgia moriamo e di miseria,
mentre banchetta il re lieto e giocondo.
“A noi non cale se sia nato il principe,
chè la fame ci rode
le visceri ogni giorno, e il nostro gèmito,
il nostro triste rantolo ei non ode.
chè la fame ci rode
le visceri ogni giorno, e il nostro gèmito,
il nostro triste rantolo ei non ode.
“Vogliam pane e lavor, non del rachitico
rege l’insulto audace;
Vogliam pane e lavor: son tutte effimere
le promesse del re stolto e mendàce!
rege l’insulto audace;
Vogliam pane e lavor: son tutte effimere
le promesse del re stolto e mendàce!
Così grida la folla. Un sudor gelido
del re la fronte bagna.
Ei si trascina barcollante e livido
ai piedi de la sua smorta compagna.
del re la fronte bagna.
Ei si trascina barcollante e livido
ai piedi de la sua smorta compagna.
Dorme il marmocchio fra i merletti candidi
de la culla regale,
e de la folla la minaccia ràbida
come bestemmia ne la notte sale.
de la culla regale,
e de la folla la minaccia ràbida
come bestemmia ne la notte sale.