AD ALARICO
i lieti giorni a Napoli passati?!
E nemmen io, girovago Alarico,[2]
e nemmen lo me l’ho dimenticati,
di primavera, e Napoli un incanto.
Perchè lasciammo il dolce Paradiso?
Perchè venimmo in questo camposanto?
è un paese di acefali e di bisce,
Non val la pena sciupar carta e inchiostro
se il pubblico fraintende o non capisce.
tu ti sei dato alla caricatura.
Invece io sono un serpente a sonagli
che m’illudo d’incutere paura.
di Giuda mi perseguita felino.
Meglio era dunque star nel mio Trivigno[3]
e, fra i bifolchi, diventar cretino!
qui tutto è ipocrisia, tutto è menzogna!
Dei nostri anni fiorenti è spento il fuoco,
di noi stessi e degli altri abbiam vergogna.
chi crediamo un apostolo è un birbone.
Noi sappiam che significa Dolore,
noi sappiam che significa illusione!
e così spensierati, o Viafòra!
Io li ricordo tutti i nostri amici,
quei lieti giorni io li ricordo ancora!
di via Roma, io poeta improvvisato,
scribacchiavo dei versi a le Nannine,
a le Olghe e a le Marie del vicinato.
con Mignone e Labriola e Sarno e Alfano,
con Bruno, Trevison, Cocchia e Guarino
facevamo un orribile baccano.[5]
dei sovversivi e degli scapigliati,
Certe sere era pieno come un uovo.
Tutti però eravamo “disperati”[6]
la nostra giovinezza era un sorriso.
Perchè venimmo in questo camposanto?
Perchè lasciammo il nostro Paradiso?
di quel bel tempo, o giovine Alarico?!
E nemmen io potrò obliarli mai,
o mio cortese, o mio gentile amico!
2 Alarico è lo pseudonimo del simpatico e colto amico mio sig. Giovanni Viafora, valentissimo caricaturista, più noto nei mondo artistico americano, che fra gl’italiani di New York. ↩
3 Trivigno è un ridente paesello di Basilicata, provincia di Potenza. Lo chiamo “mio Trivigno” ché ivi passai i bei giorni dell’infanzia e il mio cuore incominciò a palpitare per la sovrumana poesia dell’Amore e dell’Arte. Io, per chi fosse desioso di saperlo, nacqui in San Pietro in Guarano, provincia di Cosenza. Mio padre è calabrese, come me, mia madre napoletana. ↩
4 Il Caffè De Angelis, ch’è in via Roma già Toledo in Napoli, e che quindici anni fa, era il ritrovo dei più scapigliati “bohemiens” della città e di fuori, quasi tutti irredentisti, repubblicani, socialisti, anarchici... et similia. ↩
5 Di tutti questi miei amici e compagni d’arte, due si trovano in America: Mignone e Bruno. Il primo esercita in Brooklyn l’avvocatura ed è conosciuto nel giornalismo italo-americano, sotto lo pseudonimo letterario di Diogene; il secondo dirige in Philadelphia, Pa., un giornale settimanale dal titolo “Il Mastro Paolo”, Pasquale Guarino, notissimo scrittore socialista, redattore del “Messaggero”, del “Roma”, della defunta “Montagna”, della “Martinella” e di altri importanti giornali italiani, è morto di tisi nel 1899, in Napoli, non ancora quarantenne e mentre gli sorrideva un brillante avvenire. ↩
6 Poichè quasi tutte le poesie semi-serie raccolte in questo “Intermezzo” sono state pubblicate nella ‘Follia di New York‘, giornale umoristico, satirico, popolare che è letto in maggior parte da napoletani, non ho potuto fare a meno d’infiorarle quà e là di qualche voce dialettale. Ripubblicandole in volume, avrei facilmente potuto eliminare queste voci in vernacolo, se non che ho creduto meglio di non farlo, giacché come certe espressioni del popolo sono intraducibili, così certi vocaboli napoletani o non hanno la parola corrispondente in lingua italiana o se pur c’è perde molto d’effetto. "Disperato" è voce dialettale napoletana. Star ‘disperato‘ significa stare senza soldi, stare al verde, stare a corto di quattrini. ↩