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Selections from the <em>Canzoniere</em>: RVF 23

Selections from the Canzoniere
RVF 23
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  1. About
  2. RVF 1
  3. RVF 2
  4. RVF 3
  5. RVF 4
  6. RVF 5
  7. RVF 6
  8. RVF 10
  9. RVF 12
  10. RVF 22
  11. RVF 23
  12. RVF 24
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  18. RVF 40
  19. RVF 51
  20. RVF 52
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  22. RVF 61
  23. RVF 70
  24. RVF 77
  25. RVF 78
  26. RVF 90
  27. RVF 114
  28. RVF 126
  29. RVF 127
  30. RVF 128
  31. RVF 129
  32. RVF 134
  33. RVF 136
  34. RVF 137
  35. RVF 138
  36. RVF 142
  37. RVF 150
  38. RVF 152
  39. RVF 164
  40. RVF 173
  41. RVF 195
  42. RVF 196
  43. RVF 197
  44. RVF 211
  45. RVF 228
  46. RVF 234
  47. RVF 246
  48. RVF 247
  49. RVF 248
  50. RVF 263
  51. RVF 264
  52. RVF 266
  53. RVF 267
  54. RVF 269
  55. RVF 270
  56. RVF 271
  57. RVF 273
  58. RVF 292
  59. RVF 299
  60. RVF 302
  61. RVF 311
  62. RVF 316
  63. RVF 323
  64. RVF 332
  65. RVF 333
  66. RVF 336
  67. RVF 337
  68. RVF 346
  69. RVF 355
  70. RVF 359
  71. RVF 360
  72. RVF 363
  73. RVF 365
  74. RVF 366

Nel dolce tempo de la prima etade,

che nascer vide et anchor quasi in herba

la fera voglia che per mio mal crebbe,

perché cantando il duol si disacerba,

canterò com’io vissi in libertade,                5

mentre Amor nel mio albergo a sdegno s’ebbe.

Poi seguirò sí come a lui ne ’ncrebbe

troppo altamente, e che di ciò m’avenne,

di ch’io son facto a molta gente exempio:

benché ’l mio duro scempio                        10

sia scripto altrove, sí che mille penne

ne son già stanche, et quasi in ogni valle

rimbombi il suon de’ miei gravi sospiri,

ch’aquistan fede a la penosa vita.

E se qui la memoria non m’aita                        15

come suol fare, iscúsilla i martiri,

et un penser che solo angoscia dàlle,

tal ch’ad ogni altro fa voltar le spalle,

e mi face oblïar me stesso a forza:

ché tèn di me quel d’entro, et io la scorza.        20        

I’ dico che dal dí che ’l primo assalto

mi diede Amor, molt’anni eran passati,

sí ch’io cangiava il giovenil aspetto;

e d’intorno al mio cor pensier’ gelati

facto avean quasi adamantino smalto                25

ch’allentar non lassava il duro affetto.

Lagrima anchor non mi bagnava il petto

né rompea il sonno, et quel che in me non era,

mi pareva un miracolo in altrui.

Lasso, che son! che fui!                                30

La vita el fin, e ’l dí loda la sera.

Ché sentendo il crudel di ch’io ragiono

infin allor percossa di suo strale

non essermi passato oltra la gonna,

prese in sua scorta una possente donna,        35

ver’ cui poco già mai mi valse o vale

ingegno, o forza, o dimandar perdono;

e i duo mi trasformaro in quel ch’i’ sono,

facendomi d’uom vivo un lauro verde,

che per fredda stagion foglia non perde.        40

Qual mi fec’io quando primer m’accorsi

de la trasfigurata mia persona,

e i capei vidi far di quella fronde

di che sperato avea già lor corona,

e i piedi in ch’io mi stetti, et mossi, et corsi,        45

com’ogni membro a l’anima risponde,

diventar due radici sovra l’onde

non di Peneo, ma d’un piú altero fiume,

e n’ duo rami mutarsi ambe le braccia!

Né meno anchor m’agghiaccia                        50

l’esser coverto poi di bianche piume

allor che folminato et morto giacque

il mio sperar che tropp’alto montava:

ché perch’io non sapea dove né quando

me ’l ritrovasse, solo lagrimando                55

là ’ve tolto mi fu, dí e nocte andava,

ricercando dallato, et dentro a l’acque;

et già mai poi la mia lingua non tacque

mentre poteo del suo cader maligno:

ond’io presi col suon color d’un cigno.                60

Cosí lungo l’amate rive andai,

che volendo parlar, cantava sempre

mercé chiamando con estrania voce;

né mai in sí dolci o in sí soavi tempre

risonar seppi gli amorosi guai,                        65

che ’l cor s’umilïasse aspro et feroce.

Qual fu a sentir? ché ’l ricordar mi coce:

ma molto piú di quel, che per inanzi

de la dolce et acerba mia nemica

è bisogno ch’io dica,                                70

benché sia tal ch’ogni parlare avanzi.

Questa che col mirar gli animi fura,

m’aperse il petto, e ’l cor prese con mano,

dicendo a me: Di ciò non far parola.

Poi la rividi in altro habito sola,                75

tal ch’i’ non la conobbi, oh senso humano,

anzi le dissi ’l ver pien di paura;

ed ella ne l’usata sua figura

tosto tornando, fecemi, oimè lasso,

d’un quasi vivo et sbigottito sasso.                80

Ella parlava sí turbata in vista,

che tremar mi fea dentro a quella petra,

udendo: I’ non son forse chi tu credi.

E dicea meco: Se costei mi spetra,

nulla vita mi fia noiosa o trista;                        85

a farmi lagrimar, signor mio, riedi.

Come non so: pur io mossi indi i piedi,

non altrui incolpando che me stesso,

mezzo tutto quel dí tra vivo et morto.

Ma perché ’l tempo è corto,90

la penna al buon voler non pò gir presso:

onde piú cose ne la mente scritte

vo trapassando, et sol d’alcune parlo

che meraviglia fanno a chi l’ascolta.

Morte mi s’era intorno al cor avolta,                95

né tacendo potea di sua man trarlo,

o dar soccorso a le vertuti afflitte;

le vive voci m’erano interditte;

ond’io gridai con carta et con incostro:

Non son mio, no. S’io moro, il danno è vostro.        100

Ben mi credea dinanzi agli occhi suoi

d’indegno far cosí di mercé degno,

et questa spene m’avea fatto ardito:

ma talora humiltà spegne disdegno,

talor l’enfiamma; et ciò sepp’io da poi,                105

lunga stagion di tenebre vestito:

ch’a quei preghi il mio lume era sparito.

Ed io non ritrovando intorno intorno

ombra di lei, né pur de’ suoi piedi orma,

come huom che tra via dorma,                        110

gittaimi stancho sovra l’erba un giorno.

Ivi accusando il fugitivo raggio,

a le lagrime triste allargai ’l freno,

et lasciaile cader come a lor parve;

né già mai neve sotto al sol disparve                115

com’io sentí’ me tutto venir meno,

et farmi una fontana a pie’ d’un faggio.

Gran tempo humido tenni quel vïaggio.

Chi udí mai d’uom vero nascer fonte?

E parlo cose manifeste et conte.                120

L’alma ch’è sol da Dio facta gentile,

ché già d’altrui non pò venir tal gratia,

simile al suo factor stato ritene:

però di perdonar mai non è sacia

a chi col core et col sembiante humile                125

dopo quantunque offese a mercé vène.

Et se contra suo stile ella sostene

d’esser molto pregata, in Lui si specchia,

et fal perché ’l peccar piú si pavente:

ché non ben si ripente                                130

de l’un mal chi de l’altro s’apparecchia.

Poi che madonna da pietà commossa

degnò mirarme, et ricognovve et vide

gir di pari la pena col peccato,

benigna mi redusse al primo stato.                135

Ma nulla à ’l mondo in ch’uom saggio si fide:

ch’ancor poi ripregando, i nervi et l’ossa

mi volse in dura selce; et così scossa

voce rimasi de l’antiche some,

chiamando Morte, et lei sola per nome.        140

Spirto doglioso errante (mi rimembra)

per spelunche deserte et pellegrine,

piansi molt’anni il mio sfrenato ardire:

et anchor poi trovai di quel mal fine,

et ritornai ne le terrene membra,                145

credo per piú dolore ivi sentire.

I’ seguí’ tanto avanti il mio desire

ch’un dí cacciando sí com’io solea

mi mossi; e quella fera bella et cruda

in una fonte ignuda                                150

si stava, quando ’l sol piú forte ardea.

Io, perché d’altra vista non m’appago,

stetti a mirarla: ond’ella ebbe vergogna;

et per farne vendetta, o per celarse,

l’acqua nel viso co le man’ mi sparse.                155

Vero dirò (forse e’ parrà menzogna)

ch’i’ sentí’ trarmi de la propria imago,

et in un cervo solitario et vago

di selva in selva ratto mi trasformo:

et anchor de’ miei can’ fuggo lo stormo.        160

Canzon, i’ non fu’ mai quel nuvol d’oro

che poi discese in pretïosa pioggia,

sí che ’l foco di Giove in parte spense;

ma fui ben fiamma ch’un bel guardo accense,

et fui l’uccel che piú per l’aere poggia,                165

alzando lei che ne’ miei detti honoro:

né per nova figura il primo alloro

seppi lassar, ché pur la sua dolce ombra

ogni men bel piacer del cor mi sgombra.

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