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Selections from the <em>Canzoniere</em>: RVF 264

Selections from the Canzoniere
RVF 264
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  7. RVF 6
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  61. RVF 311
  62. RVF 316
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  70. RVF 359
  71. RVF 360
  72. RVF 363
  73. RVF 365
  74. RVF 366

I’ vo pensando, et nel penser m’assale

una pietà sí forte di me stesso,

che mi conduce spesso

ad altro lagrimar ch’i’ non soleva:

ché, vedendo ogni giorno il fin piú presso,                5

mille fïate ò chieste a Dio quell’ale

co le quai del mortale

carcer nostro intelletto al ciel si leva.

Ma infin a qui nïente mi releva

prego o sospiro o lagrimar ch’io faccia:                        10

e cosí per ragion conven che sia,

ché chi, possendo star, cadde tra via,

degno è che mal suo grado a terra giaccia.

Quelle pietose braccia

in ch’io mi fido, veggio aperte anchora,                        15

ma temenza m’accora

per gli altrui exempli, et del mio stato tremo,

ch’altri mi sprona, et son forse a l’extremo.

L’un penser parla co la mente, et dice:

- Che pur agogni? onde soccorso attendi?                20

Misera, non intendi

con quanto tuo disnore il tempo passa?

Prendi partito accortamente, prendi;

e del cor tuo divelli ogni radice

del piacer che felice                                        25

nol pò mai fare, et respirar nol lassa.

Se già è gran tempo fastidita et lassa

se’ di quel falso dolce fugitivo

che ’l mondo traditor può dare altrui,

a che ripon’ piú la speranza in lui,                        30

che d’ogni pace et di fermezza è privo?

Mentre che ’l corpo è vivo,

ài tu ’l freno in bailia de’ penser’ tuoi:

deh stringilo or che pôi,

ché dubbioso è ’l tardar come tu sai,                        35

e ’l cominciar non fia per tempo omai.

Già sai tu ben quanta dolcezza porse

agli occhi tuoi la vista di colei

la qual ancho vorrei

ch’a nascer fosse per piú nostra pace.                        40

Ben ti ricordi, et ricordar te ’n dêi,

de l’imagine sua quand’ella corse

al cor, là dove forse

non potea fiamma intrar per altrui face:

ella l’accese; et se l’ardor fallace                        45

durò molt’anni in aspectando un giorno,

che per nostra salute unqua non vène,

or ti solleva a piú beata spene,

mirando ’l ciel che ti si volve intorno,

immortal et addorno:                                        50

ché dove, del mal suo qua giú sí lieta,

vostra vaghezza acqueta

un mover d’occhi, un ragionar, un canto,

quanto fia quel piacer, se questo è tanto? -

Da l’altra parte un pensier dolce et agro,                55

con faticosa et dilectevol salma

sedendosi entro l’alma,

preme ’l cor di desio, di speme il pasce;

che sol per fama glorïosa et alma

non sente quand’io agghiaccio, o quand’io flagro,         60

s’i’ son pallido o magro;

et s’io l’occido piú forte rinasce.

Questo d’allor ch’i’ m’addormiva in fasce

venuto è di dí in dí crescendo meco,

e temo ch’un sepolcro ambeduo chiuda.                65

Poi che fia l’alma de le membra ignuda,

non pò questo desio piú venir seco;

ma se ’l latino e ’l greco

parlan di me dopo la morte, è un vento:

ond’io, perché pavento                                        70

adunar sempre quel ch’un’ora sgombre,

vorre’ ’l ver abbracciar, lassando l’ombre.

Ma quell’altro voler di ch’i’son pieno,

quanti press’a lui nascon par ch’adugge;

e parte il tempo fugge                                        75

che, scrivendo d’altrui, di me non calme;

e ’l lume de’ begli occhi che mi strugge

soavemente al suo caldo sereno,

mi ritien con un freno

contra chui nullo ingegno o forza valme.                80

Che giova dunque perché tutta spalme

la mia barchetta, poi che ’nfra li scogli

è ritenuta anchor da ta’ duo nodi?

Tu che dagli altri, che ’n diversi modi

legano ’l mondo, in tutto mi disciogli,                        85

Signor mio, ché non togli

omai dal volto mio questa vergogna?

Ché ’n guisa d’uom che sogna,

aver la morte inanzi gli occhi parme;

et vorrei far difesa, et non ò l’arme.                        90

Quel ch’i’ fo veggio, et non m’inganna il vero

mal conosciuto, anzi mi sforza Amore,

che la strada d’onore

mai nol lassa seguir, chi troppo il crede;

et sento ad ora ad or venirmi al core                        95

un leggiadro disegno aspro et severo

ch’ogni occulto pensero

tira in mezzo la fronte, ov’altri ’l vede:

ché mortal cosa amar con tanta fede

quanta a Dio sol per debito convensi,                        100

piú si disdice a chi piú pregio brama.

Et questo ad alta voce ancho richiama

la ragione svïata dietro ai sensi;

ma perch’ell’oda, et pensi

tornare, il mal costume oltre la spigne,                        105

et agli occhi depigne

quella che sol per farmi morir nacque,

perch’a me troppo, et a se stessa, piacque.

Né so che spatio mi si desse il cielo

quando novellamente io venni in terra                        110

a soffrir l’aspra guerra

che ’ncontra me medesmo seppi ordire;

né posso il giorno che la vita serra

antiveder per lo corporeo velo;

ma varïarsi il pelo                                        115

veggio, et dentro cangiarsi ogni desire.

Or ch’i’ mi credo al tempo del partire

esser vicino, o non molto da lunge,

come chi ’l perder face accorto et saggio,

vo ripensando ov’io lassai ’l vïaggio                        120

de la man destra, ch’a buon porto aggiunge:

et da l’un lato punge

vergogna et duol che ’ndietro mi rivolve;

dall’altro non m’assolve

un piacer per usanza in me sí forte                        125

ch’a patteggiar n’ardisce co la morte.

Canzon, qui sono, ed ò ’l cor via piú freddo

de la paura che gelata neve,

sentendomi perir senz’alcun dubbio:

ché pur deliberando ò vòlto al subbio                        130

gran parte omai de la mia tela breve;

né mai peso fu greve

quanto quel ch’i’ sostengo in tale stato:

ché co la morte a lato

cerco del viver mio novo consiglio,                        135

et veggio ’l meglio, et al peggior m’appiglio.

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